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sabato 1 settembre 2012

Egregio Ministro ...

Egregio Ministro Riccardi,

Noto che il responsabile dei porta carte dell' ufficio della propaganda antidroga, dott. Giovanni Serpelloni, si è prodigato nel rispondere alla lettera a Lei rivolta dal sottoscritto, in merito alla discussione della legalizzazione della cannabis.

Approfitto di quest' occasione per rinnovarLe la mia richiesta di immediate dimissioni del dott. Serpelloni dal ruolo istituzionale che dovrebbe ricoprire, per manifesta ignoranza e inadeguatezza e totale mistificazione delle informazione sul tema del quale dovrebbe occuparsi.
I dati che vengono diffusi attraverso il sito del "dipartimento per la propaganda antidroga", risultano completamente fuorvianti, totalmente incuranti degli studi che giustificano posizioni differenti dalla visione proibizionista, ignorando completamente la storia delle politiche sulla prevenzione delle dipendenze e il contrasto alla diffusione di sostanze psicotrope (tra i quali vanno incluse alcolici e tabacchi), partendo da posizioni ideologiche prive di fondamenti riscontrabili nella vita di tutti i giorni, ancor prima che da esempi storici e studi scientifici di diversa natura.

Per esempio verrebbe da portare come argomentazione a favore di politiche sulla legalizzazione almeno della cannabis, il documento presentato dalla Global Commission on Drugs Policy, tra i cui membri vale la pena di citarne alcuni: George Shultz, Javier Solana, Louise Arbour, Paul Volcker, César Gaviria, Ernesto Zedillo, Fernando Henrique Cardoso. Si va da ex presidenti di nazioni del sud america, ad un ex presidente della FED americana, fino a membri dell' ONU e della commissione Europea.
Come mai ignorare voci di risonanza internazionale chiaramente schierate a favore di politiche basate sulla tolleranza, il recupero e la prevenzione, per diffondere politiche basate sulla menzogna, l'ipocrisia e l'ignoranza?

Verrebero anche da citare degli studi economici di premi nobel all' economia che disegnano un chiaro fallimento delle politiche della cosiddetta "war on drugs". Per esmpio il Profesor Gary Becker, nobel nel 1992, si è chiaramente espresso sui costi di questa dispendiosa guerra auspicando una legalizzazione delle droghe per ridurne il consumo. Già Milton Friedman si era schierato a favore della legalizzazione delle sostanze stupefacenti illegali firmando assieme ad altri 500 economisti un appello alla amministrazione Bush Jr.
Altro autorevole economista espressosi in materia è il profesor Jeffrey Miron, insegnate presso l' università di Harvard nel dipartimento di economia. Il suo studio evideniza la totale inefficacia, numeri alla mano, delle politiche di proibizione sugli stupefacenti quantificando il "danno economico" della guerra alla droga, specialmente sulla cannabis. Una legalizzazione della canabis porterebbe a risparmi per 7.7 miliardi di dollari derivanti da spese di repressione, vengono stimati in 2.4 miliardi di dollari le entrate statali di una legalizzazione della cannabis se tassata al pari di qualsiasi bene in vendita negli USA e le entrate aumenterebbero a 6.2 miliardi di dollari l' anno se venisse applicata la tassazione su alcolici e tabacco.
Onorevole Ministro, gli esempi storici di proibizione di sotanze psicotrope sono forse la prova più eloquente della mistificazione del dott. Serpelloni.

L' attuale guerra alla droga, ha precedenti illustri, ma, apparentemente, dimenticati. La prima "guerra alla droga" fu combattuta in Cina, circa 200 anni fa, è studiata nei libri di storia, ma sembra una lacuna che suggerisco di colmare al proff. Serpelloni. La Cina, combattè ben due guerre contro l' impero Britannico al fine di impedire la vendita di oppio sul territorio orientale.
Entrambe le guerre furono perse dalla cina, con conseguenti ritorsioni economiche pesanti per l' impero Cinese.
Altra citazione storica riguarda l' esempio del proibizionismo sull' alcol, esperimento ovviamente fallito, che comportò la nascita della criminalità organizzata negli stati uniti.
Arrivando al giorno d' oggi, la situazione messicana, è emblematica  di come la repressione causi danni ben maggiori se confrontata aduna regolamentazione della vendita di stupefacenti.
I danni del proibizionismo sono di natura sociale, sanitaria, economica.

La proibizione, a livello sociale, al contrario della regolamentazione della vendita e distribuzione di stupefacenti, ha sempre dimostrato la totale inefficacia nel provenire l' uso delle sostanze illegali, trovando anzi nell' illegalità, il maggior fattore di attrazione.

A livello sanitario, la proibizione, esclude il tossicodipendente da percorsi di integrazione e recupero sociale, perchè vedendo nella dipendenza un crimine, il consumatore viene considerato criminale. Le implicazioni sulla salute sono evidenti nella diffusione delle malattie tra tossicodipendenti che non hanno accesso a strutture sanitarie per fare fronte alle loro esigenze di malati, amplificando i danni per la salute del tossicodipendente e delle persone loro vicine.

Economicamente non esistono fondamenti che giustificano le politiche proibizioniste, perchè i costi sono sproporzionati rispetto a politiche alternative; le spese derivanti dalla repressione risultano, in oltre, inutili nel perseguire l' obbiettivo di ridurre la diffusione dei consumi di stupefacenti illegali.

L' unica giustificazione a favore delle politiche proibizioniste è di opportunità politica derivante dall' ignoranza legata alla gestione delle tematiche realtive all' uso di stupefacenti. Parlare di "no alla droga" è sicuramente più facile e attraente che argomentare le implicazioni derivanti dalla proibizione; è un ritornello che può funzionare per irretire voti di persone ignoranti o non interessate all' argomento.
"Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità." In questa citazione è riassumibile l' attività politica del dipartimento per la propaganda antidroga.

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