La cannabis legale e i dubbi di chi difende, in modo anche velato, un proibizionismo sconfitto dalla storia.
Nei giorni in cui sta sviluppandosi nelle sedi parlamentari il progetto di legge antiproibizionista sulla cannabis, voluto dall’Intergruppo fondato da Benedetto Della Vedova, stanno emergendo (come anche giusto che sia) alcune voci contrarie o perplesse, verso la legalizzazione delle droghe leggere. Da argomentazioni che potremmo definire ‘benaltriste’, passando per dubbi di tipo sociologico e le immancabili disamine economiche volte a frenare gli entusiasmi per il gettito fiscale. Comunque la si guardi, appare chiaro che per tanti politici e personaggi pubblici italiani è ancora inconcepibile considerare l’estensione dei diritti civili, una ricchezza e una risorsa in quanto tale. Il popolo, sul tema delle droghe leggere legali, è pronto da almeno 22 anni, ovvero dal referendum proposto dai Radicali in cui si chiedeva la depenalizzazione dei reati connessi all'uso personale della cannabis e dei suoi derivati. Il popolo accolse tale istanza ma la politica ha sistematicamente ignorato tutto ciò.
Il ‘benaltrismo’
La frase 'Ai giovani serve un lavoro e non una canna’ è come un mantra per chi, a partire da Giorgia Meloni, si ricorda sempre della questione occupazionale ogniqualvolta ci sono in ballo i diritti civili. Siano questi appannaggio degli omosessuali, dei malati che chiedono l’eutanasia o dei consumatori di cannabis. Forse ci si dimentica che la legalizzazione permetterebbe l’avvio di attività fino ad oggi proibite fornendo una (pur minima) risposta a chi vuole mettersi in gioco nel settore. Inoltre, non è chiaro come la legalizzazione mini gli interessi di lavoratori e disoccupati ai quali sono deputati a pensare ministri, sottosegretari e responsabili dei partiti, tutti ‘specialisti’.
Legalizzazione è maggiore sicurezza
Vi sono poi derive di tipo sociologico, come chi prefigura chissà quale caos generato dall’apertura di locali in cui acquistare cannabis, che appaiono fuori luogo se si considera che le droghe (anche pesanti) sono di fatto già ‘libere’ in quanto facilmente reperibili sul mercato nero. L’emersione del fenomeno porterebbe tante persone ‘normali’ che consumano cannabis, a usufruire di canali legali e senza rischi per la salute visto che la legalizzazione garantirebbe prodotti di maggior qualità. Le intemperanze di pochi non finirebbero per inficiare la bontà di un progetto che libererebbe dal giogo repressivo (anche solo potenziale) milioni di consumatori che non possono essere, evidentemente, tutte teste calde. Gli esempi dei coffee-shop olandesi, dei cannabis club spagnoli, dei bar cechi e dei dispensari americani sono lì a dimostrarlo e nelle province dell’Olanda dove tali locali erano stati proibiti ai turisti, è stato necessario tornare indietro per evitare scene che nelle nostre città proibizioniste sono la quotidianità: arresti, violenza e spaccio in strada, ovvero fenomeni riazzerabili solo con la legalizzazione.
L’economia non è tutto
C’è chi ha messo in dubbio l’efficacia della legalizzazione da un punto di vista economico, sottostimando il gettito fiscale e gli introiti generati. Senza entrare nel merito di cifre opinabili perché stime riguardanti un traffico che neppure dovrebbe esistere, è sufficiente utilizzare le parole di Benedetto Della Vedova che, su Linkiesta, ha spiegato come il versante economico non sia la causa del provvedimento ma una sua conseguenza. I diritti, insomma, sono già un valore in sè perché, per dirla all’americana, generano felicità. E pazienza se questa non è nelle rilevazioni economiche.
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