Dopo una estate ricca di chiacchiere a parlare di cannabis ... torna il silenzio.
Le speranze iniziali sul lavoro dell'intergruppo sulla legalizzazione non sembrano prendere lo slancio travolgente auspicato. Anzi il lavoro dell'intergruppo sembra perdere la forza fomentata dalle istanze della società e si sta dimostrando incapace di consolidare il proprio lavoro e quello delle associazioni da anni impegnate in questa battaglia. L'autoreferenzialità della politica sul tema cannabis, ancora una volta, traduce in fatti il distacco tra politica e cittadini.
I media finalmente si sono resi conto che la proibizione ha fallito, ma la maggioranza dei cittadini attende risposte passivamente più che stimolare il dibattito su un tema ancora tabù. I pochi impegnati, che ora trovano sostegno in un dibattito che sta svelando fallimenti decennali, non trovano nella politica lo stesso sostegno e supporto che ha stimolato i politici a creare un gruppo politico trasversale, ancora minato da interessi particolartisti di fazione.
I gangli del potere ancora non accettano una svolta antiproibizionista. Se negli USA, vengono cercate e remunerate figure quali assaggiatori di cannabis, piuttosto che figure consulenziali nella ricerca sulla produzione di cannabis o a supporto di strategie per politiche efficaci, in Italia, Rita Bernardini viene scartata come candidata da garante dei detenuti perchè antiproibizionista. Ancora una volta, l' intergruppo parlamentare si dimostra distaccato da una battaglia comune contro lo "stigma" di Serpelloniana memoria che traduce in discriminazione la candidatura di una figura di spicco come la Radicale Italiana. Anzichè utilizzare questa discriminazione in un'arma di accusa nei confronti di una politica fallita e da accantonare, non muove parola. E così si è accantonato il dibattito sulla cannabis.
Il dibattito italiano adesso guarda alle "riforme", in primis quella del senato. Una delle tante riforme che, nella più tipica tradizione italiota, minaccia di fare saltare il governo; e dunque se salta il governo che fine fa la riforma sulla cannabis? Soprattutto, che fine farebbero le poltrone degli ultimi saliti sul carro degli "amici della cannabis" raccolti nell'intergruppo? Forse meglio smettere di parlare di cannabis...
Altro tema scottante è il fenomeno incontrollato dell'immigrazione. E' stata fomentata la guerra e ora ci si stupisce che, le popolazioni locali, la guerra non la vogliono e scappano. Da dove scappano? Guarda caso da alcune delle zone dove la produzione di cannabis è storicamente una tradizione. Si veda il Libano.
Quello che mi stupisce maggiormente è come gli occhi siano chiusi di fronte alle potenzialità di una politica internazionale sulla cannabis. Dall'arricchimento di zone povere, all'utilizzo di politiche agricole in favore della coltivazione della cannabis per creare lavoro nel nord dell'Africa e fermare i flussi migratori creando lavoro in quelle zone.
Le politiche di sviluppo che potrebbero partire da una sana collaborazione internazionale sulla delocalizzazione della produzione di cannabis permetterebbe la creazione di ricchezza la dove si è portata distruzione, si costruirebbe un argine di solidarietà dove ora si costruiscono mura di divisione.
La corruzione morale e finanziaria della classe politica italiana non da speranza. Lobby di potere occulte e lobby finanziarie dichiarate marciano sull'impoverimento delle persone; impoverimento che ora come mai negli ultimi cento anni sta pervadendo tutta la società.
Dato questo panorama di incertezza sorgono spontanee domande sul futuro della riforma sulla cannabis:
Quando si attiverà il dibattito nelle camere?
Si riuscirà a fare capire alle forze più contrarie all'accoglimento degli immigrati, che le politiche sulla cannabis possono fermare il flusso di immigrazioni incontrollate attraverso la creazione di lavoro nel nord dell'Africa?
Si riuscirà a fare cadere il tabù sull'antiproibizionismo?
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