Altro
elemento che incorre nella valutazione del reato di spaccio di sostanze
stupefacenti è sempre stato, nella normativa italiana, lo stato sociale
dell' imputato. E' infatti difficile dimostrare, per esempio, che un
affermato professionista rinvenuto con diversi grammi di sostanza,
potendosi permettere acquisti consistenti anche per evitare di dovere
rifornirsi di frequente, possa essere uno spacciatore o che possa trarre
dal traffico di sostanze illecite una fonte di guadagno tale da farlo
ritenere un trafficante di sostanze illecite. Al contrario, una
situazione economica disagiata di un individuo arrestato anche con pochi
grammi di sostanze illecite, potrebbero fare presuppore l' attività di
spaccio come fonte di reddito e motivo di arresto e detenzione come
previsto dalla più dura applicazione della normativa. Si spiega così la
sentenza n. 49085/2004 della Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta
Penale secondo cui Un chilo e
mezzo di cocaina pura non puo' essere considerata di per sè una "ingente
quantità" ai fini del reato di spaccio nella città di Roma. Il
principio è stato affermato dalla Sesta Sezione Penale della Corte di
Cassazione che ha cancellato l'aggravante che era stata applicata ad uno
spacciatore di origini spagnole condannato a sette anni di reclusione e
a 30 mila euro di multa per "detenzione a fini di spaccio di un chilo e
mezzo di cocaina pura" nella periferia della Capitale. Secondo i
giudici di secondo grado, infatti, lo spacciatore meritava
l'applicazione dell'aggravante della ingente quantità della dose in
quanto "un chilo e mezzo di cocaina pura, pari a 10.442 dosi droganti, è
in grado di soddisfare un rilevante numero di tossicodipendenti". Per
la Suprema Corte, che ha ribaltato la sentenza della Corte di Appello,
un chilo e mezzo di coca invece "non integra di per sè un quantitativo
ingente, a meno che in relazione alle caratteristiche dell'offerta di
droga, alla sua capacità di diffusione e di assorbimento del mercato,
non si determini un pericolo concreto per la salute pubblica di elevata
intensità"; infatti, per essere considerata "ingente", la quantità
dev'essere "esorbitante" rispetto al "normale" traffico di droga, mentre
la quantità di un chilo e mezzo di droga non poteva essere considerata
eccessiva "considerato anche che il mercato di destinazione era quello
romano, certamente non suscettibile di essere influenzato da un simile
quantitativo".
Se il caso citato,
giudicato secondo la normativa precedente all' introduzione del decreto
Fini Giovanardi, poteva interessare al fine della approvazione di una
normativa diversa, che regolamentasse meglio la distinzione tra uso
personale e spaccio, con l' introduzione della più recente normativa,
entrata in vigore con le olimpiadi invernali di Torino del 2006, le
casistiche di legge risultano più stringenti al punto da non potere più
individuare con facilità cosa si intenda per spaccio e cosa si intenda
per uso personale. La norma degli anni 90, che meritava sicuramente una
revisione, modificata tramite il decreto sulle olimpiadi, è diventata
invece una trappola per il consumatore di stupefacenti e una miniera d'
oro per i trafficanti di sostanze illecite.
La
normativa del 2005 prevede infatti limiti bassissimi di detenzione
delle sostanze e il limite tollerato riguarda la quantità di principio
attivo rinvenuto nella sostanza, analisi possibile da effettuare solo
previa consulenza di laboratori specializzati. Le sostanze maggiormente
utilizzate in Italia risultano essere l' hashish e la cocaina. I limiti
di legge imposti per incorrere in sanzioni penali risultarono essere ,in
principio, pari a 250 mg di thc nel quantitativo rinvenuto e 500 mg di
principio attivo nella cocaina. Il principio che ispirò l ' approvazioni
di simili limiti era la assenza di distinzione di pericolosità tra
tutti gli stupefacenti. Così, per legge, la dipendenza da eroina e le
conseguenze derivanti dall' uso di tale stupefacente, erano paragonati
al saltuario uso di cannabis. Se la pericolosità scientifica di una
sostanza data dalla capacità di creare dipendenza veniva ignorata, non
sembrò però essere ignorato l' uso di cocaina all' interno delle aule
dei palazzi minsteriali italiani. La legge fu infatti approvata anche in
seguito ad alcuni scandali che riguardarono alcuni membri illustri del
governo italiano; il caso forse più famoso riguarda un senatore a vita
della repubblica italiana, ex presidente del consiglio dei ministri,
politico di ruolo dal assemblea costituente del 1946, Emilio Colombo.
Nel 2002 in seguito ad una inchiesta su droga e personaggi dello
spettacolo, fini sotto gli occhi degli inquirenti anche il senatore a
vita.
Dall' indagine, che toccò
inizialmente l' allora vice ministro delle finanze, emerse che l'
utilizzatore finale della cocaina che entrava al ministero fu il
senatore a vita Colombo, il quale né ammise l' utilizzo per “scopi
terapeutici”. Il senatore fu pescato a farsi pervenire la droga
direttamente al ministero ed emerse che lo spacciatore di fiducia del
senatore aveva libero accesso senza subire controllo alcuno da parte dal
personale di vigilanza, all' interno dei palazzi governativi.
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