Egregio direttore, la notizia della condanna in primo grado di appello del generale dei ROS per traffico di droga è una notizia che deve fare pensare e ripensare.
Una simile notizia dovrebbe fare riflettere il cittadino sulla attuale efficacia della repressione come strumento di dissuasione dall' uso di stupefacenti: se addirittura alcune forze dell' ordine (fortunatamente poche), che rappresentano lo stato, spacciano droga, chi dovrebbe tutelarci dalla dilagante diffusione di stupefacenti? Il presupposto che ha fatto della "guerra alla droga" uno strumento dispendioso, inefficace e amplificatore di problemi è lo stato etico e l' aderenza di parte della classe politica a questo pensiero, che è utile ricordare, ha portato alla dittatura nazista in Germania. Uno stato non può farsi portatore di "leggi morali", che, come un genitore normativo, è sempre pronto a dirti cosa è giusto o sbagliato e, in quest' ultimo caso, metterti in galera per un errore.
Da qui dovrebbe nascere il ripensamento della strategia per contrastare la diffusione di stupefacenti, che trova nella repressione, il più forte volano per gli scambi. La tolleranza, in questo difficile mercato, ha sempre portato risultati "allucinanti"; laddove, infatti, si è approcciato il problema rendendo la tossicodipendenza una questione medica, depenalizzando il consumo, o consentedo la coltivazione domestica di sostanze leggere e il loro consumo, la diffusione di droga è minima, al punto che si registrano i più bassi tassi di consumo tra la popolazione. Quale è il motivo? La responsabilizzazione degli individui. Un individuo responsabilizzato nell' utilizzo della sostanza sa riconoscerne obbiettivamente la pericolosità e l' uso sarà dettato dal buon senso, non dalla moda come negli stati dove gli stupefacenti proibiti seguono, appunto, le mode. Si veda, per esempio, la diffusione della cocaina tra i politici e l' esplosione dell' utilizzo di questa sostanza tra la popolazione, a seguito dell' introduzione di una norma fortemente repressiva, il decreto Fini-Giovanardi.
Una simile notizia dovrebbe fare riflettere il cittadino sulla attuale efficacia della repressione come strumento di dissuasione dall' uso di stupefacenti: se addirittura alcune forze dell' ordine (fortunatamente poche), che rappresentano lo stato, spacciano droga, chi dovrebbe tutelarci dalla dilagante diffusione di stupefacenti? Il presupposto che ha fatto della "guerra alla droga" uno strumento dispendioso, inefficace e amplificatore di problemi è lo stato etico e l' aderenza di parte della classe politica a questo pensiero, che è utile ricordare, ha portato alla dittatura nazista in Germania. Uno stato non può farsi portatore di "leggi morali", che, come un genitore normativo, è sempre pronto a dirti cosa è giusto o sbagliato e, in quest' ultimo caso, metterti in galera per un errore.
Da qui dovrebbe nascere il ripensamento della strategia per contrastare la diffusione di stupefacenti, che trova nella repressione, il più forte volano per gli scambi. La tolleranza, in questo difficile mercato, ha sempre portato risultati "allucinanti"; laddove, infatti, si è approcciato il problema rendendo la tossicodipendenza una questione medica, depenalizzando il consumo, o consentedo la coltivazione domestica di sostanze leggere e il loro consumo, la diffusione di droga è minima, al punto che si registrano i più bassi tassi di consumo tra la popolazione. Quale è il motivo? La responsabilizzazione degli individui. Un individuo responsabilizzato nell' utilizzo della sostanza sa riconoscerne obbiettivamente la pericolosità e l' uso sarà dettato dal buon senso, non dalla moda come negli stati dove gli stupefacenti proibiti seguono, appunto, le mode. Si veda, per esempio, la diffusione della cocaina tra i politici e l' esplosione dell' utilizzo di questa sostanza tra la popolazione, a seguito dell' introduzione di una norma fortemente repressiva, il decreto Fini-Giovanardi.
Nessun commento:
Posta un commento